Teatro a Vanvera #5 - No man is an island
Il nostro appuntamento settimanale con la teatroterapia si apre con una condivisione di C. che in un momento particolarmente duro della sua vita sta trovando sollievo e riparo nella lettura di un libro di Osho. La confidenza suscita non poche reazioni nel gruppo, che appare ostico nei confronti di figure carismatiche quali il mistico indiano. Le reazioni vanno dalla rabbia accesa alla paura, al sospetto, al disgusto, all'apprensione. Lentamente emerge nelle storie di tutti i partecipanti l'essere stati parte, in diverse fasi di vita, di gruppi spirituali e/o religiosi e di aver sperimentato con forte sofferenza una, seppure breve, perdita dell'identità personale, frutto di manipolazione e suggestione.
Già, perché occorre ricordare la potenza che personalità manipolative possono esprimere su ciascuno di noi, alle prese con un momento di fragilità, solitudine o semplicemente in una fase di cambiamento. Non esistono individui più a rischio di altri ma periodi a rischio, momenti transitori dove una perdita subita, ad esempio, rende maggiormente vulnerabili alla seduzione operata da determinati personaggi e contesti.
I momenti di condivisione in gruppo hanno un profondo impatto sulla vita mentale ed è per questo che essi riescono a contraddistinguere, influenzare, trasformare e, in taluni contesti, anche ad annullare la personalità individuale.
Ciò su cui questi gruppi fanno leva, è un innato bisogno di appartenenza sperimentato da ciascun essere umano.
La ricerca di relazioni interpersonali appaganti e durature permette di sentirsi parte integrante di un tutto e al contempo mantenersi indipendenti. Ciò è fonte di autostima e benessere, e permette di sviluppare maggiori capacità di coping di fronte alle difficoltà.
Le ricerche sull'argomento mettono in luce che sentirsi parte di un sistema permette di esprimere aspetti diversi della nostra identità (si pensi ai ruoli diversi esperiti nel gruppo dei pari, in famiglia, sul lavoro) e che le difficoltà nelle relazioni interpersonali interne al gruppo, così come la mancanza di un gruppo di appartenenza, possono portare a un disagio significativo. L'appartenenza si celebra, con riti e feste e il doversene separare genera profondi sentimenti di disperazione e nostalgia (si pensi alle popolazioni di migranti e richiedenti asilo, costrette ad abbandonare le proprie radici, siano esse luoghi, persone, tradizioni o comunità).
Possiamo considerare quindi un eccesso di fusionalità un fattore di rischio per quanto concerne la costruzione di una dipendenza affettiva, ma allo stesso tempo una totale assenza di appartenenze un ostacolo importante nello sviluppo di un'identità personale.
Punto focale nel discriminare i due possibili esiti sembra essere il concetto di reciprocità, contrapposto a quello assai più pericoloso e confusivo di proprietà. Stare con è un modo per scrivere la mia storia a patto che l'altro non decida di me, a patto che non vi sia schiavitù: appartenersi non significa fondersi, possedersi o aderire completamente.
Nel gruppo decidiamo di giocare con le appartenenze: a quale gruppo ti piacerebbe appartenere? Nella finzione teatrale possiamo esplorarne i benefici e le caratteristiche peculiari.
C'è chi sogna di far parte di una squadra legata dalla passione per uno sport e dalla fatica per raggiungere un obiettivo: la vittoria. C'è chi immagina per sé l'appartenenza a un gruppo di missionari legati da da ideali di solidarietà, chi ancora predilige un gruppo contraddistinto dall'assenza di gerarchie e leader, chi si pensa in un team orientato allo svolgimento di un compito, alla realizzazione di un prodotto, come l'officina Ferrari. Ma c'è anche chi, alla sola idea di far parte di un gruppo storce il naso, e preferisce l'individualità, perché è vero, come scrisse John Donne che "Nessun uomo è un'isola", ma è altrettanto vero che il bisogno di appartenenza, seppure presente in ciascuno, prende forme e misure differenti a seconda della storia di ognuno di noi.
e tu? a che gruppo vorresti appartenere?

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